È uno dei paesi più poveri al mondo, al secondo posto nella graduatoria mondiale della mortalità infantile (un bambino su quattro muore entro il quinto anno d’età) e al penultimo in quella dello sviluppo umano. È un paese prevalentemente desertico in cui la terra coltivabile è costituita appena dal 3.5% dell’intero territorio. Esposto a continue e persistenti siccità. Le carestie costringono più della metà della popolazione al di sotto della soglia di estrema povertà. Si muore per malattie dovute al consumo di acqua infetta quali il tifo, la dissenteria, l’epatite A e ancora per malattie prevenibili con le vaccinazioni quali il morbillo, il tetano, la poliomielite e la malaria. Inoltre il tasso di alfabetizzazione è, negli adulti, molto basso e meno di un bambino su quattro completa gli studi primari. Molto spesso i bambini sono costretti a lasciare la scuola per aiutare le famiglie.
Usanze e costumi
Le differenti etnie del Niger sono: gli Hausa, agricoltori stanziati presenti al centro e a est del paese; i Djerma-Songhai, anche loro agricoltori stanziati, insediati però ad ovest; i Tuareg, i Tabu e gli Arabi, allevatori nomadi, presenti a nord e nord-est; i Kanuri e Buduma, allevatori semi-nomadi, insediati all’estremità orientale; ed infine i Peul, sempre allevatori semi-nomadi, presenti in tutto lo stato.
Gli Hausa hanno una cultura fortemente influenzata dalla religione islamica, infatti sono organizzati in una struttura piramidale molto rigida e incentrata su regole religiose, al cui vertice è posto il Sultano. Essendo principalmente agricoltori, sono impegnati nella coltivazione del cotone e degli arachidi. Proprio per il lavoro che praticano, il loro abbigliamento è molto semplice e lineare: vesti bianche e lunghe decorate con filo color kaki, ampi cappelli di paglia per ripararsi dal sole e dalle piogge. Rispetto alle popolazioni del sud della Nigeria non amano indossare colori vivaci o sgargianti.
Djerma- Songhai sono molto legati all’etnia Tuareg con cui convivono nelle zone desertiche. Pur essendo molto legati alle pratiche islamiche, non hanno escluso le tradizioni antiche e sono rimasti molto legati alla stregoneria ancestrale. Infatti la tradizionale vita songhai è vista come un passaggio attraverso pericoli e insidie. Per questo motivo continuano a consultare indovini, stregoni e sacerdoti per le possessioni spiritiche.
I Taureg sono principalmente un popolo nomade le cui attività economiche sono legate alla pastorizia e all’utilizzo dei dromedari, riflettendo la stratificazione sociale, gerarchica e strutturata in tre caste: nobili, uomini liberi e schiavi (nonostante la schiavitù sia stata abolita, privatamente è ancora praticata). Hanno mantenuto fino ad oggi la scrittura tradizionale del Nordafrica, detta “tifinagh”, e parlano la lingua madre dei Berberi, il “tamacheq”, da cui discendono. I Tuareg sono soprannominati “Uomini blu”, per via del turbante color indaco (taguelsmut) indossato dagli uomini che copre il capo e il viso, lasciando scoperti solamente gli occhi. A causa della presenza costante di questo velo, la pelle, con l’andare del tempo, viene tinta dello stesso colore del velo. I diversi colori dei veli indicano una diversa appartenenza sociale: indaco per i nobili e ricchi; nero per la gente comune; bianco per i servi e per gli schiavi. Per quanto riguarda le donne invece, è necessario solamente un velo che copra la testa, lasciando per tanto il viso scoperto. A differenza della maggioranza dei gruppi islamici, la donna Tuareg gode di una certa libertà e importanza nella comunità, in quanto le viene affidato il compito di custodire e tramandare le tradizioni orali. Inoltre, le donne possono divorziare dal marito e hanno il diritto di tenersi la tenda ed il suo arredamento, forniti appunto alla coppia dalla famiglia della sposa durante il matrimonio. Gli uomini sono soliti farsi crescere la barba, ma sono privi di baffi.I giovani, abitualmente si rasano la testa, mentre gli adulti, maschi e femmine, portano i capelli lunghi e intrecciati. Ambe due i sessi però, usano in abbondanza cosmetici a scopo terapeutico e ocra rossa a scopo protettivo. Infine, non dimentichiamoci la loro raffinata arte orafa, sia per quanto riguarda i monili in argento, sia le impugnature delle spade.
I Kanuri sono prettamente agricoltori e allevatori. Coltivano miglio, sorgo, mais e arachidi; allevano ovini, caprini e cavalli, ritenuti quest’ultimo simbolo di prestigio. I Kanuri che vivono in città invece svolgono lavori di governo, servizio pubblico, costruzione, trasporto e commercio.Le abitazioni sono di dimensioni variabili, composte da fango e paglia. Le città hanno la funzione di mercati locali e centri amministrativi, in cui sono presenti una scuola locale e la moschea. La più importante unità economica è la famiglia, ma non in senso letterale, in quanto, siccome maggiore è il numero dei membri in una famiglia, maggiore è il prestigio che acquista il capofamiglia, i giovani sono spesso prestati ad altre famiglie per contribuire al lavoro nei campi. In cambio il giovane riceve dal padrone di casa vestiti, cibo e soldi per prendere in moglie una fanciulla, in modo tale che un giorno potrà crearsi il suo nucleo familiare. La poligamia è molto diffusa e l’uomo, che si sposa a vent’anni, è solito avere come prima moglie una giovane vergine. Poiché il costo di quest’ultima è molto elevato, l’uomo può decidere di prendere in moglie donne già divorziate.